IL DIRITTO ALLA CITTÀ. DALLA CITTÀ STORICA ALLA CITTÀ IN ESPANSIONE. DALLA CATTEDRALE AI NON-LUOGHI

Riprendendo il discorso sul significato di urbs e di cittadinanza, vorrei riportare il contenuto di un brillante libro scritto da Henri Lefebvre intitolato Il diritto alla città, (Ombre Corte, Verona 2014. Prima ed. 1967), per mettere in evidenza due elementi essenziali riguardante la cultura dell’abitare: il primo riguarda  La coscienza dei luoghi e il secondo Il senso di appartenenza, che poi si tradurrebbe nel principio inalienabile di ogni comunità di partecipare attivamente alla vita politica e culturale della città.

Sul piano storico-culturale Henri Lefebvre è considerato uno dei più importanti filosofi-urbanista del XX secolo, tanto da essere ancora oggi studiato per le sue idee riguardanti la qualità della vita urbana e il “diritto alla città”, come elemento fondamentale “alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare”. E come tale, nel suo libro  analizza il formarsi delle città, con riferimento specifico alla nascita dell’industria e quindi allo svilupparsi del fenomeno dell’urbanizzazione. Infatti, nel primo capitolo Lefebvre affronta il rapporto fra industrializzazione e urbanizzazione, da cui inizia “la problematica urbana”, che nasce nel mondo occidentale con il processo di industrializzazione. Essa caratterizza la società moderna e per questo si differenzia sia dalla città antica che dalla città medievale. Se la città antica ed orientale ha un carattere prettamente politico, così come la città medievale ha un carattere commerciale, artigianale e bancaria, la città moderna ha un carattere prettamente economico, legata alla nascita del capitalismo, all’industria e quindi alla nascita di una nuova classe sociale la borghesia. Con la città moderna, che nasce generalmente ai bordi della città consolidata e quindi antica, ha inizio il processo di industrializzazione, che si sviluppa generalmente ai bordi della città storica, là dove vi è abbondante di manodopera, specie quella artigianale e agricola. Questo passaggio da un

Monte Sant’Angelo: Il Santuario di San Michele

sistema economico basato sul commercio e sul sistema bancario ad un sistema industriale determina un’accelerazione del fenomeno urbano, anche in vista di uno spostamento di manodopera dalla campagna  alla città industrializzata. Tutto questo ha creato una separazione fra la città antica e la città moderna, creando nel contempo le periferie urbane e le periferie industrializzate. Tale fenomeno lo si è visto maggiormente nelle città europee, più che in quelle americane. In questo processo di industrializzazione, legata allo sviluppo delle città, si è verificato il fenomeno dell’abbandono graduale dei centri storici o della città consolidata, tanto da creare le premesse per una separazione fra l’antico e il moderno, fra il passato e il presente, sempre più industrializzato e globalizzato. Di fronte a questo duplice processo, rappresentato dall’industrializzazione e dalla urbanizzazione, ha inizio un terzo processo che è quello conflittuale fra la produzione economica e la vita sociale. Infatti, afferma Lefebvre, ha inizio così storicamente uno scontro violento tra la realtà urbana e la realtà industriale e quindi economica. Scontro che ancora oggi è presente in tante città del mondo, non solo in occidente, ma anche nei paesi asiatici, fra cui Pechino, dove il tasso di inquinamento legato alle industrie ha raggiunto livelli preoccupanti.

Le città di oggi ormai sono costituite, da una parte dalla città da ammirare e da visitare turisticamente, e dall’altra dalla città industrializzata, sede di imprese e di banche, che fanno da supporto alle industrie. Tutto ruota così intorno al sistema finanziario, che ormai determina lo sviluppo delle città e del sistema economico. Purtroppo stiamo assistendo ad un

Monte Sant’Angelo. Rione Junno. Largo Dauno

processo di “implosione-esplosione” delle città, tale da far nascere vere e proprie megalopoli, che assorbono interi distretti territoriali, come nel caso di Parigi, Amsterdam, Milano, Londra, dove a determinare la vita di esse non è tanto la cultura dell’abitare, quanto il progresso economico legato al potere finanziario e alla globalizzazione, che ormai sta annullando qualsiasi autorità dello Stato nella pianificazione della vita sociale ed economica.  In questi ultimi decenni, infatti,  molti centri urbani hanno perso quello che si chiama un tempo “il tessuto urbano”, che consiste nel modo di vivere il legame con la propria città. La nascita delle grandi periferie ha rotto tale legame e ha creato seri problemi nel rapporto fra la città consolidata e la città in espansione. In questo senso è cambiato un “modo di vivere”, tanto da creare le premesse per un progressivo degrado della società urbana. Tutto ciò ha comportato un allargamento dei servizi e quindi della sicurezza, di cui oggi si parla in maniera drammatica in alcune periferie delle città megalopoli.

Monte Sant’Angelo. Rione Carmine, Case a schiera

Con la città industrializzata ormai cambiano anche le direzionalità, in quanto non esiste più, come nella città antica e medievale, un solo centro, ma la città industrializzata, fondata sul commercio e sul mercato libero, acquista diversi centri, che vengono detti centri direzionali, con riferimento alla formazione e all’informazione, alla capacità amministrativa e alle decisioni istituzionali, ecc. Il problema è che, afferma Lefebvre, bisogna scegliere quale direzionalità bisogna dare alla città e in base a tale scelta progettare la città e orientare il suo tessuto urbano. Problema che interessa anche la città più piccole, ma di grande valore storico-culturale, come Monte Sant’Angelo. Da ciò probabilmente nasce la crisi della città, in quanto si crea quella dicotomia fra la città vecchia e la città nuova, in un processo a volte espansivo a danno del territorio e quindi del paesaggio, inteso come patrimonio culturale

. Con i grandi complessi residenziali e i nuovi quartieri periferici sorti generalmente nelle grandi città,  la città stessa viene privata della  sua urbanità, perdendo così quei temi collettivi che erano le vie, le piazze, i monumenti, gli spazi d’incontro. Da questo momento ormai la coscienza della città e quindi dei luoghi si affievolisce. E tutto questo in nome di una razionalità funzionale (Le Corbusier) che determina la vita urbana e la vita sociale della gente. Tutto questo, secondo Lefebvre, pone in luce “la contraddizione tra il  valore d’uso (la città e la vita urbana, il tempo urbano) e il  valore di scambio (gli spazi acquistati e venduti, il consumo dei prodotti, dei beni, dei luoghi e dei segni) (Lefebvre, 2014, p. 39). Ciò  ci porta a considerare il concetto di città e di cittadinanza, che purtroppo con i secoli, ha perso il suo valore intrinseco legato alla cultura dell’abitare, di cui ci parla il filosofo M. Heidegger.

Oggi le nostre città mancano di una storia legata principalmente al tessuto sociale e quindi alla cultura del luogo. Ormai si è perso il senso della storia urbana, intesa come opera d’arte in divenire (M. Romano). In questo senso per Lefebvre la città dovrebbe essere la proiezione della società sul territorio, come insieme delle differenze tra la città che si è costruita e la città che si sta costruendo. In altri termini la città come forma della simultaneità, campo di incontri e di scambi. Forma che ha in sé il concetto di funzione e di relazionalità, sia con l’aspetto urbano, che con il territorio circostante. E  purtroppo questo manca alla nostra città. In questo caso entra in gioco il rapporto fra città e territorio, quest’ultimo inteso come luogo di produzione e di riproduzione degli aspetti essenziali della “campagna” e quindi delle sue potenzialità di ordine agricolo, ambientale e culturale. Rapporto che nell’arco del tempo è mutato diverse volte, come quando nel Medioevo il  rapporto fra città e campagna era molto più stretto rispetto alla modernità. Infatti, se prima esisteva un certo equilibrio e una maggiore armonia fra città e campagna, oggi esiste un rapporto conflittuale, iniziato proprio con la modernità e quindi con l’industrializzazione, tanto da interrompere quello che una volta caratterizzava la città del passato e precisamente la trasmissione della cultura del luogo. In altre parole siamo passati dalla centralità della Cattedrale ai non-luoghi. E questo, purtroppo è uno degli aspetti negativi della postmodernità, in quanto il rapporto fra città e campagna, così copme fra città e cittadini,  si è allargato maggiormente ed è diventato uno iato o separazione incolmabile. Situazione che purtroppo la notiamo anche fra la nostra città, Monte Sant’Angelo, dove vi è una netta separazione fra la città storica e la città in espansione, con le sue “nuove periferie”. Ed ecco allora che subentra, in questo discorso di recupero della cittadinanza e della civitas,  il diritto alla città, come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e alla cultura dell’abitare. In altri termini come  diritto all’attività partecipante della comunità verso la città e nella città e come diritto alla fruizione  di tutti i beni culturali ed economici della città e del suo territorio.

 

 

                                                             GIUSEPPE PIEMONTESE
Società di Storia Patria per la Puglia

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