BENI CULTURALI E PAESAGGIO NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA ED EUROPEA

In Italia le prime resistenze contro l’urbanizzazione selvaggia del suolo e quindi contro la distruzione del paesaggio si ebbero nel 1955 con la nascita  di Italia Nostra, fondata da Umberto Zanotti Bianco, ma soprattutto attraverso la sensibilizzazione di uomini,  provenienti anche dal cinema, come P. P. Pasolini, che incominciarono a denunciare la distruzione del paesaggio e soprattutto dei centri storici, che negli anni Cinquanta e Sessanta, ormai erano abbandonati al loro triste destino.

Uomini come Giorgio Bassani, Antonio Cederna, Leonardo  Borgese, che incominciarono  a parlare per la prima volta di Beni culturali da salvare e da conservare, di tutela del paesaggio e di valorizzazione dell’ambiente.  Intanto nel 1960 si aveva la Carta di Gubbio sulla salvaguardia dei Centri storici e nel 1967 le denunce della Commissione parlamentare Franceschini, incaricata di indagare lo stato dei Beni culturali nazionali. Per poi giungere,  nel 1999, al Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali e  nel 2000, alla Convenzione Europea del Paesaggio, in cui si  afferma che il paesaggio “rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’Europa”, come “una ricchezza condivisa della civiltà europea, dove le componenti naturali e quelle antropiche concorrono alla sua formazione. Si tratta di un patrimonio comune, di un ecosistema e di un sistema di beni culturali affidato alle popolazioni” (Tosco, 2014, p. 80). Nel 2004 si ha il  Codice dei beni culturali e del paesaggio, in cui il paesaggio è ormai riconosciuto come un bene comune, un diritto delle popolazioni, aperto senza confini alla percezione di tutti.  Per la prima volta, il Codice dei beni culturali e del paesaggio poneva in risalto, oltre che l’importanza del patrimonio culturale in generale, quanto la tutela e la valorizzazione di esso nell’ambito delle leggi emaniate delle singole regioni, che si devono dotare di Piani paesaggistici, di cui però ancora poche regioni  sono in possesso, fra cui la Puglia e la Toscana. Solo recentemente, con l’intervento dell’UNESCO, la gestione dei beni culturali è diventata un patrimonio universale, in quanto espressione dell’identità della nazione. Identità di cui oggi sono rappresentate dalla World Heritage List, che è il catalogo dei siti dichiarati dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità, di cui l’Italia ha il maggior numero (46), fra cui il sito longobardo del Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo (2011).  

Sul piano storiografo, per quanto riguarda il paesaggio,  nel 1979 veniva pubblicato il libro di A. M. Norberg-Schulz , Genius Loci: paesaggio, ambiente, architettura (Electa, Milano 1979), in cui dava nuovo lustro ad un concetto antico, con tutto l’inevitabile bagaglio di citazioni mitologiche modernizzate. Con Norbert-Schulz l’architetto era chiamato a divenire un interprete dei luoghi, anche se gli strumenti analitici e i linguaggi critici di cui disponeva non sempre risultavano all’altezza del compito.  Nello stesso tempo il problema dei Centri storici acquistava in Italia una maggiore solidità conoscitiva, tanto che lo studioso Saverio Muratori ne faceva una propria battaglia, per salvare dal degrado i tantissimi centri storici italiani ormai del tutto abbandonati e privi di vita. Inoltre poneva in essere il problema dell’abitare, affermando, che: “Abitare è una funzione psicologica complessa che richiede la necessità dell’uomo di orientarsi e identificarsi in un ambiente, di sentirlo suo, di riconoscerlo e in esso di riconoscersi”. In questo senso la città è anche l’espressione di un territorio, della sua storia e della sua cultura. In altri termini il paesaggio come storia. Nello stesso tempo, nell’ambito dell’architettura e dell’urbanistica, si forma una vera  e propria “cultura territorialista”, che fa capo ad Alberto Magnaghi, autore del libro  Il progetto locale (Einaudi, Torino 2000), in cui “il territorio viene concepito come prodotto storico di processi coevolutivi di lunga durata tra insediamento umano e ambiente, tra natura e cultura, ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. Questi processi producono un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di identità, di caratteri tipologici, di individualità: dunque sistemi viventi ad alta complessità” (Magnaghi, 2010, pp. 24-25). Tutto ciò è importante in quanto mette in primo piano la rappresentazione identitaria del territorio e quindi la conoscenza dei luoghi, la loro specificità storica, oltre che culturale. Intanto in questo percorso prende forma la concezione del paesaggio come “metafora teatrale”, portato avanti da Eugenio Turri, che ha dedicato al paesaggio vari libri, fra cui  Antropologia del paesaggio, (Edizioni di Comunità, Milano 1983),  Il paesaggio come teatro (Marsilio, Venezia 1992), Il paesaggio e il silenzio (Marsilio, Venezia 2004).  Con Eugenio Turri la “metafora teatrale” si presta a valorizzare la percezione scenica del paesaggio, dove l’uomo è riconosciuto come spettatore e insieme attore del paesaggio, in quanto partecipa attivamente alla sua formazione. In altri termini “gli elementi che compongono un ambiente sono investiti di valori culturali per le popolazioni insediate e stabiliscono forti relazioni con il sistema territoriale circostante. Si attua così quel processo che i semiologi definiscono di  significazione,  di attribuzione cioè di particolari significati elementi della natura e del cosmo” (Tosco, 2016, pp. 103-104).

Oggi si ha una nuova coscienza da parte dei cittadini sia verso i Beni culturali che verso il paesaggio in generale, compreso la salvaguardai e la conservazione dei Centri storici. Tutela e conservazione che ha interessato diversi passaggi legislativi e quindi diversi documenti, che hanno sottolineato l’importanza non solo della tutela e della conservazione dei Beni culturali quanto l’aspetto della valorizzazione e della rigenerazione urbana in generale. Così a proposito della Rigenerazione Urbana sostenibile recentemente si è, infatti, sottolineato il significato «plurisenso» e «pluridisciplinare» dell’espressione rigenerazione urbana, significato «che obbliga ad andare oltre le più frequentate e note nozioni di ‘recupero’, ‘riuso’ e anche ‘riqualificazione’, intesa questa ultima come un’azione, pubblica e/o privata, che determina un accrescimento di valori economici, culturali, sociali in un contesto urbano o territoriale esistente» (Mantini 2013, p. 8). Un riferimento quindi  sostanziale da cui partire, anche dal punto di vista giuridico, presente in Italia della legge regionale de 29 luglio 2008, nr. 21, della Regione Puglia, Norme per la rigenerazione urbana, che recita: «La Regione Puglia con la presente legge promuove la rigenerazione di parti di città e sistemi urbani in coerenza con strategie comunali e intercomunali finalizzate al miglioramento delle condizioni urbanistiche, abitative, socio-economiche, ambientali e culturali degli insediamenti umani e mediante strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati». “Questa definizione, afferma Lorenzo Bellicini,  si inserisce in una riflessione che solo in parte fa riferimento alla tradizione delle politiche di conservazione, recupero edilizio e riqualificazione originata e sviluppata dalla tradizione architettonica e urbanistica italiana, mentre attinge alla cultura dell’urban regeneration e dell’urban renewal anglosassone ed europeo, il cui respiro si fa più ampio, meno edilizio e più economico-culturale, più sociale. Per il governo inglese la rigenerazione urbana è trasformazione che deve essere in grado di «far respirare nuova vita e vitalità alla comunità, all’industria e all’area, facendola diventare sostenibile grazie a miglioramenti sul lungo periodo della qualità della vita, includendo i bisogni economici, sociali e ambientali» (ODPM 2001)”. In questo nuovo processo di Rigenerazione urbana si parla di partecipazione di residenti che beneficeranno del programma in tutte le fasi di avanzamento dell’intervento, dalla progettazione alla valutazione, alla realizzazione, grazie a dispositivi definiti «con cura artigianale». Si prevede, inoltre, di contribuire al rinnovamento sostenibile dei quartieri urbani e al miglioramento del rendimento energetico, puntando alla realizzazione di ecoquartieri. E ancora, di favorire lo sviluppo economico e la creazione di attività produttive nei quartieri oggetto di intervento attraverso nuove politiche urbane integrate in grado di incentivare investitori e mix di attività (contrats de ville intercommunaux). Tutto ciò è frutto di una riflessione culturale in linea con il concetto di qualità urbana espresso dall’Unione Europea, concetto strettamente connesso alla sostenibilità, nelle sue tre principali accezioni: ambientale, sociale ed economica. Un percorso che va dalla Carta di Aalborg sulle città europee verso la sostenibilità del 1994, all’Accordo di Bristol del 2005 sulle comunità sostenibili in Europa che fissava le otto caratteristiche che devono possedere le comunità sostenibili (attive, inclusive e sicure; ben gestite; ben connesse; ben servite; sensibili all’ambiente; prospere; giuste); alla Carta di Lipsia, elaborata sotto la presidenza tedesca nel maggio 2007 dall’assemblea dei ministri dei vari stati dell’Unione competenti sulle aree urbane, che impegna all’implementazione di politiche per la sostenibilità dell’ambiente urbano, puntando in particolare su due aspetti: approcci integrati nelle politiche di sviluppo urbano e necessità di porre particolare attenzione alla riqualificazione delle aree urbane svantaggiate, fino alla Dichiarazione di Marsiglia del 2008 sulle città sostenibili e coese, che riprende i concetti di sviluppo urbano integrato e sostenibile, riconoscendo, tra l’altro, il ruolo chiave dell’architettura e della qualità urbana nelle politiche integrate di sviluppo sostenibile; l’attenzione al cambiamento climatico nelle politiche urbane, anche perché si riconosce che il 69% delle emissioni di gas serra proviene dalle città, alla Dichiarazione di Toledo del 2010 che esprime la necessità per le aree urbane europee di affrontare e approfondire la Strategia Europa 2020 per una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente. A tale proposito molto importante è anche il contenuto della Convenzione di Faro,  che prende il nome dalla località portoghese, Faro, dove, il 27 ottobre 2005, si presentava la  Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società. In essa viene  sancito il diritto, individuale e collettivo, “a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento” (art. 4). Inoltre la Convenzione di Faro ha posto in primo piano la partecipazione  di tutta la popolazione a considerarsi parte delle “comunità di patrimonio, come valore intrinseco di crescita e di sviluppo della società”. Quindi non più i beni culturali al centro del patrimonio culturale, ma la gente, la persona umana, che viene ad essere attore e non solo spettatore per uno sviluppo sostenibile, con riferimento specifico alla qualità della vita. In questo senso, afferma C. Tosco, “nei processi di partecipazione l’individuo matura la condizione migliore per un approccio alle ricchezze del patrimonio. Ogni forma di partecipazione chiama alla condivisione, alla “messa in comune” delle esperienze, delle pratiche di utilizzo, dei complessi di valori” (Tosco, 2014, p. 179). Per realizzare tutto questo c’è bisogno innanzitutto del sostegno delle istituzioni locali. Senza il sostegno adeguato degli attori pubblici, delle autorità pubbliche, degli esperti, dei proprietari, degli investitori, organizzazioni non governative e società civile,  viene a mancare l’attuazione dei progetti a livello territoriale. Né il privato da solo può fare tutto, se non c’è la collaborazione e la partecipazione attivo del settore pubblico. Anche se in molti casi le opportunità non vengono solo dal territorio o dalle istituzioni locali, ma esse hanno la loro fattibilità soprattutto a livello nazionale ed europeo. In altri termini, come afferma G. Volpe, nel suo ultimi libro  Un patrimonio italiano (Utet, Torino 2016), “il patrimonio culturale, andrebbe, cioè, “riconquistato”, conosciuto, apprezzato, arricchito di nuovi significati” (Volpe, 2016, p. 43).

 

                                                         GIUSEPPE PIEMONTESE
Società di Storia Patria per la Puglia

        

 

 

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